Tutti contro la "T"
La destra ultraconservatrice e razzista, a corto di "mostri" da additare per disseminare paura e raccogliere consenso, ha trovato un nuovo nemico: le persone transgender
di Giorgio Umberto Bozzo
Colpisce la notizia girata all’inizio del nuovo anno che Tim Cook, amministratore delegato di Apple, gay dichiarato e da sempre sostenitore di politiche aziendali inclusive e rispettose dei diritti delle minoranze, abbia donato di tasca propria un milione di dollari per la festa di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump.
La testata americana specializzata in spettacolo e costume «Variety» ha presentato la notizia scrivendo che si tratterebbe dell’ennesimo tentativo di un mogul di «Big Tech per ingraziarsi il presidente in arrivo».
Quello che ha generato stupore e malcontento in molte associazioni di categoria è che Cook, maschio omosessuale, abbia deciso di finanziare - per mero interesse aziendale - il debutto presidenziale di un uomo che ha già dichiarato di voler mettere fine alla “transgender lunacy” (tradotto, la “follia transgender”), perché convinto che “esistono solo due generi”.
Con un solo tratto della mia penna il primo giorno metteremo fine alla follia transgender e firmerò ordini esecutivi per vietare le mutilazioni sessuali nei bambini, per buttare fuori le persone transgender dalle forze armate e fuori dalle nostre scuole elementari, medie e superiori. Terremo gli uomini fuori dagli sport femminili. E questo lo faremo probabilmente il primo giorno. Devo farlo il primo, il secondo o il terzo giorno? Che ne dite del primo giorno?
Difficile credere che l’amministratore delegato di Apple non sia cosciente di questo orientamento razzista e transfobico di Trump, ma a Tim “ingraziarsi il presidente” dev’essere sembrato il male minore rispetto a eventuali ostilità verso la propria azienda da parte della prossima amministrazione americana.
Che il concetto di comunità LGBTQIA+ potesse risultare all’orecchio di qualcuno quanto meno artificiale non è una novità: da sempre sappiamo che ogni lettera di questo acronimo ha necessità specifiche e particolari, che non sempre collimano con quelle delle altre lettere.
Ma sino ad oggi si era provato a muoversi compatti, come un “insieme di comunità”, rappresentative di orientamenti, identità, condizioni, autoidentificazioni, dialoganti e solidali le une con le altre nel tentativo di modificare ed emancipare gli assetti della società civile affinché divenisse più inclusiva e rispettosa nei confronti della diversità.
Mai come oggi questo fronte comune mostra tutta la sua fragilità e a pagarne i costi maggiori è proprio la lettera “T”, quella delle persone transgender.
Trump non è che il megafono più assordante e sgradevole di una serie di personaggi pubblici che negli ultimi mesi si sono molto spesi nel propalare una narrazione anti-trans: brillano su tutti il miliardario Elon Musk (che peraltro ha una figlia transgender), la scrittrice J. K. Rowling, l’ex tennista Martina Navratilova.
Nel nostro paese, in occasione della vicenda della pugile algerina Imane Khelif alle ultime olimpiadi di Parigi, ha fatto capolino la pelosa e neppure troppo subliminale transfobia della premier Giorgia Meloni e del presidente del Senato Ignazio La Russa (anche il “comunista” Marco Rizzo non è passato inosservato).
Questa narrazione transfobica e transescludente spesso poggia su opinioni discutibili, ancorate a nostalgie di stampo conservatore - se non reazionario - di fantomatiche “tradizioni” e “realtà naturali” che la scienza moderna ha dimostrato essere meri prodotti storici e culturali, privi di oggettive valenze scientifiche.
La verità è che i demagoghi populisti di oggi, per arruolare le loro coorti di sostenitori devono utilizzare ad arte lo spauracchio di “mostri”, “diversi” e “corruttori” per riuscire a infondere nelle persone più fragili e influenzabili quella paura e quell’odio così comodi per generare cieco consenso.
Accanto ad alcuni evergreen come gli immigrati - presentati tout court come criminali e stupratori - e gli islamici - rappresentati senza alcun imbarazzo come crudeli terroristi jihadisti - ora il nuovo bersaglio su cui sparare a pallettoni è quella della popolazione transgender.
D’altra parte, in tempi in cui i principali diritti delle persone LGB sono ormai stati assimilati dalla maggioranza dei cittadini - almeno nel mondo occidentale - l’unico modo per mettere in crisi il fronte LGBTQIA+ (già di suo precario) è proprio quello di concentrarsi sulla componente transgender, che ancora oggi è più facilmente discriminata, patologizzata e criminalizzata.
Peraltro, in questo, gli ultraconservatori populisti possono contare su ignobili complicità, come quelle che spesso noi della 🏳️🌈Compagnia del Gender🏳️⚧️ denunciamo.
C’è, infatti, una sovrapposizione quasi perfetta con gli argomenti e le narrazioni anti-transgender delle femministe radicali trans-escludenti, le cosiddette TERF (in Italia hanno infiltrato ArciLesbica), e dei gruppi ultracattolici e antigender alla ProVita & Famiglia.
Questi ultimi, addirittura, sembrano considerare la componente transgender come un ideale “tallone d’Achille” (assieme alle Famiglie Arcobaleno) per attaccare l’intera popolazione dell’acronimo LGBTQIA+, rea di propagandare la famigerata ideologia gender.
Sempre più analisti e studiosi dei fenomeni politici hanno dimostrato come l’uso delle campagne di propaganda anti-trans e anti-gender si impenni in occasione di tornate elettorali o di passaggi politici importanti.
Proprio su questo questo argomento segnaliamo che a breve sarà pubblicato dalla rivista «ComPol - Comunicazione Politica» della casa editrice Il Mulino un interessante studio di Massimo Prearo e Alessio Scopelliti intitolato Framing Populist Radical Right Opposition to LGBTIQ+ Issues. Lega and Fratelli d’Italia’s Strategies on Social Media (Inquadrare l'opposizione della destra populista radicale ai temi LGBTIQ+. Le strategie di Lega e Fratelli d'Italia sui social media).
Grazie alle ricerche di
sappiamo che sin dalla nascita del movimento di liberazione omosessuale italiano (allora si diceva così) vi è stata una componente transgender: sul n. 4 dell’ottobre 1972 della rivista «Fuori!» fa la sua comparsa Monica Galdino Giansanti, un “travestito” (con questo termine ancora per qualche anno si sarebbero autoidentificate molte persone transgender) della provincia di Ancona, che da quel momento non solo avrebbe iniziato un’impegnata militanza politica, ma sarebbe anche stata il referente del FUORI! per la zona delle Marche.Opporsi alla nuova onda nera illiberale della destra populista radicale mondiale (non illudiamoci che non vi sia una strategia comune) e alle derive frazioniste di alcuni gruppi interni alla compagine LGBTQIA+ (a breve un articolo della Cavaliera del Gender Santa Speranza sulla discutibile LGB Alliance inglese) oggi passa attraverso un rinnovato impegno di inclusione e condivisione delle lotte.
I diritti delle persone transgender, delle famiglie omogenitoriali, dei migranti che fuggono dalle persecuzioni, di coloro che reclamano il diritto ad autodefinirsi non sono diritti di pochi e sacrificabili, ma sono diritti che dobbiamo tornare a ritenere di tutti e condivisibili se davvero vogliamo vivere in una società libera e giusta.